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Appello - inibitoria - rigetto per carenza di fumus

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La sentenza di primo grado per la quale è stata chiesta l'inibitoria nell'ambito del giudizio di appello, ha riguardato l'azione di responsabilità nei confronti degli amministratori, dei sindaci e del revisore legale incaricato di redigere la perizia di stima di cui all'art. 2465 c.c. (ex art. 2343 c.c.), con conseguente condanna al risarcimento dei danni subiti dalla società, poi fallita, in conseguenza di un aumento di capitale "apparente", effettuato attraverso il conferimento di un immobile la cui perizia estimativa, redatta dal revisore legale, non aveva menzionato la presenza di due rilevanti ipoteche, attribuendo così a detto immobile un valore superiore a quello effettivo. Con l'ordinanza che ha rigettata l'inibitoria la Corte di Appello di Ancona ha evidenziato che i motivi di merito connessi all'esame della fondatezza dell'appello devono essere valutati con la cognizione sommaria propria di un provvedimento inibitorio urgente che viene emesso a modifica di una sentenza conseguente ad un procedimento a cognizione piena. La valutazione del fondamento dell'impugnazione deve essere fatta in senso restrittivo: non qualunque motivo di gravame che può astrattamente essere accolto è sufficiente ad integrare la connotazione di "gravità", ma solo in ipotesi di assoluta ed immediata evidenza dell'incongruità della sentenza impugnata, costituita da motivi che abbiano ragionevolmente una alta probabilità di accoglimento e di condurre ad un mutamento della decisione. Nel caso sottoposto alla Corte la stessa ha ritenuto insussistente il requisito del fumus in quanto il ragionamento logico giuridico del giudice di primo grado appare immune da evidenti errori nell'esame dei fatti, nella ricostruzione applicativa delle norme, nell'accertamento del doppio nesso causale del danno e nella quantificazione dello stesso nonché per quanto riguarda gli ulteriori vizi processuali lamentati dal ricorrente. 

La Corte, pur statuendo che l'assenza del requisito del fumus esonererebbe dall'esaminare l'esistenza del requisito del periculum, atteso che tali presupposti debbono ricorrere congiuntamente, non ha tuttavia mancato di evidenziare che il pregiudizio patrimoniale del soccombente, così come il rischio di non recuperare la somma perduta a seguito dell'esecuzione provvisoria (effetto normale ex lege), deve essere dimostrato da chi lo invoca. Di per sé, afferma la Corte, tale rischio non è ancora sufficiente ad impedire l'esecutorietà attribuita dalla legge alla sentenza di condanna di primo grado, occorrendo che l'eventuale perdita della somma comporti ulteriori gravi conseguenze per il vincitore finale. La Corte ha evidenziato altresì che le ragioni connesse alla gravità vanno esaminate con valutazione comparativa della posizione di entrambe le parti, tenendo presente non solo l'entità del beneficio e del pregiudizio immediato che deriverebbero alle parti dall'esecuzione della sentenza, ma soprattutto l'eventuale rischio di entrambe di non poter riottenere gli effetti utili derivanti dalla decisione. Nel caso concreto la Corte ha ritenuto mancanti i requisiti della cautela invocata, anche perché la valutazione comparativa della posizione delle parti conduce a ritenere che la posizione più pregiudicata da una eventuale sospensiva sia quella della Curatela appellata. Ciò:  

(a) alla luce dell'insussistenza del fumus;

(b) tenuto conto dell'assenza di un pericolo di irripetibilità di quanto pagato (in ragione delle previsioni ex art. 113 Legge Fallimentare);

(c) tenuto conto del fatto che la messa in esecuzione della sentenza di condanna non è in sé fonte di pregiudizio ma fisiologica attuazione del comando giudiziale;

(d) considerato che la rilevanza dell'importo della condanna da un lato non è determinante in sé del periculum e dall'altro dall'appellante risulterebbe dovuta una somma che (depurata dalla somme liquidabili dall'assicurazione e diviso l'importo tra i condebitori in solido) sarebbe di poco superiore ai 400.000,00 euro;  

(e) valutata infine la posizione dell'appellante che nel corso del giudizio di primo grado risulta aver ceduto un immobile di proprietà con diminuzione della garanzia patrimoniale.

Ne deriva il rigetto dell'istanza di sospensione e la contestuale revoca del provvedimento concesso inaudita altera parte in via provvisoria, per carenza dei requisiti di legge.

 

 

Ordinanza Corte Appello Ancona 21/4/2018